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Guerra e psichiatria

Sul N° 1, 2008 (VOL. CXXXII) della Rivista Sperimentale di Freniatria è apparsa una interessante recensione, a firma di Francesco Paolella, del volume di Massimo Tornabene La guerra dei matti che riportiamo integralmente. La Rivista Sperimentale di Freniatria, il più antico periodico italiano di psichiatria, esce ininterrottamente dal 1875. Essa pubblica lavori nell’ambito della salute mentale superando le angustie di una logica strettamente disciplinare e privilegiando il dialogo fra saperi contigui, accomunati dall’interesse per la persona e la società, con l’intento di contribuire in tal modo alla ricerca del senso e del significato delle condizioni di sofferenza e benessere psichici (per accedere al sito della Rivista cliccare sul titolo del post)

Massimo Tornabene, La guerra dei matti. Il manicomio di Racconigi tra fascismo e Liberazione. Boves: Araba Fenice; 2007, pp. 172. Euro 14.

Il libro nasce dallo studio di diverse fonti (cliniche ed amministrative), tutte riferite al manicomio di Racconigi (in provincia di Cuneo). Il periodo analizzato è quello compreso fra il 1938 ed il 1947. Questa scelta temporale (più ampia rispetto ai soli anni di guerra) permette di avere uno sguardo d’insieme sulla situazione di un luogo significativo della psichiatria italiana, negli anni cruciali del fascismo, della guerra, della Resistenza. Non bisogna tralasciare, d’altra parte, le peculiarità rappresentate dalla provincia “granda” cuneese, e soprattutto in quegli anni: terra di confine con uno stato nemico, poi anche terreno di scontro fra occupanti e resistenti. In sede di introduzione, Massimo Tornabene riconduce il suo lavoro a due principali punti di riferimento storiografici. In primis, l’avere ben presente il carattere di “guerra totale” proprio del secondo conflitto mondiale: in sintesi, una guerra senza più distinzione fra civili e militari, senza più luoghi specificamente riservati al combattimento (basti pensare al trauma dei bombardamenti aerei), senza più distinzione fra lotta militare e lotta politica (non a caso, a questo proposito, è stata recentemente proposta la formula di “guerra civile europea”). In secondo luogo, l’autore ha voluto evitare di considerare le vicende del “Neuro” di Racconigi, per così dire, “in astratto”, come un universo estraneo al suo contesto (politico e territoriale). Nel volume è proposta, invece, oltre che un costante confronto fra internati, psichiatri ed infermieri, anche una descrizione puntuale delle relazioni fra l’ospedale psichiatrico e le famiglie, il potere politico, il potere militare ed il potere giudiziario, così come, in generale, tutti i mediatori sociali coinvolti (podestà, sacerdoti, medici). In altri termini, il libro offre “(…) un confronto che, indagato in una situazione eccezionale quale l’emergenza bellica, ha mostrato come l’ospedale psichiatrico non si riveli un’ ‘isola tagliata fuori’ dal tempo e dalla storia, bensì un mondo assai più complesso e articolato” (p. 19). L’autore ha focalizzato la sua attenzione sulle storie degli internati piuttosto che sulle vicende amministrative e politico-istituzionali, o, ancora, sulle biografie dei medici e del direttore. Le cartelle cliniche sono interessanti, allo sguardo dello storico, soprattutto per tre elementi che, di norma, le compongono: l’anamnesi familiare (compilata in sostanza per trovare un’eredità della patologia), i diari clinici e la corrispondenza fra la direzione del Manicomio e tutta la serie di soggetti sociali e giuridici, interessati agli internati. Si tratta di carte di diversa natura: richieste di sussidi (economici o alimentari), documenti giudiziari, lettere di raccomandazione, richieste di certificati o di congedi militari. Di particolare interesse sono i risultati della ricerca sull’influenza che il fascismo ha avuto sulla quantità e sulla qualità degli internamenti manicomiali. Ad esempio, nei resoconti dei deliri, che troviamo nei diari clinici, appare assai di frequente l’onnipresenza della propaganda (ma diremmo in breve la violenza) fascista. Il fascismo emerge nel doppio ruolo di benefattore e di persecutore. “Ma oltre a influenzare i deliri dei ricoverati, il regime si mostra attento alla libertà dei (presunti) folli che reputa politicamente pericolosi. Specie se di lì a poco è prevista in provincia la visita del duce e ogni possibile minaccia all’ordine pubblico va attentamente prevenuta. Come quella rappresentata da Agnese P., domestica della Val di Maira, internata nella primavera del 1939 perché ‘affetta da sovreccitazione nervosa e manifestazioni maniache esplodenti in atti violenti contro terzi e in turpiloquio’. [...] Agnese P., riconosciuta ‘non competente di ricovero manicomiale’, viene dimessa quando il capo del fascismo lascia la provincia. Si tratta del suo primo e unico ricovero” (pp. 79-80). Con l’inizio della guerra e specialmente con il crescente peggioramento delle condizioni di vita, il manicomio di Racconigi, in una logica essenzialmente di tipo assistenziale, diventa un luogo di ricovero, spesso unica alternativa alla fame, od anche un vero rifugio (dalle deportazioni, ma anche dal fronte di guerra). L’analisi delle cartelle cliniche di quel periodo dice molte cose anche sulle conseguenze dirette della guerra sulla formulazione delle diagnosi (la cosiddetta “follia straordinaria”), oltre che sulla vita materiale degli internati. “Con l’irruzione della guerra nella vita quotidiana, le patologie che portano i civili in manicomio assumono nuove qualità. Punta più evidente di questo iceberg è l’aumento delle manifestazioni depressive. Emblematici sono i casi di donne, da tempo prive di notizie dei mariti e dei figli (prima inviati al fronte, poi dispersi a seguito dell’armistizio), che risultano afflitte da queste sindromi” (p. 137). Le storie, raccontate nelle cartelle, rappresentano assai bene la difficoltà, incontrata dagli storici, di definire con nettezza i ruoli e le responsabilità nelle condizioni eccezionali della guerra civile. Non sempre, in altri termini, emerge la chiara contrapposizione fra i cattivi (i nazifascisti) ed i buoni (i partigiani). A regnare, in quel contesto di violenza diffusa, è la confusione. Anche in questo manicomio, poi, i primi anni Quaranta vedono un aumento considerevole del tasso di mortalità (che qui passa dal 4% del 1940 all’8% del 1943). Non bisogna dimenticare, d’altra parte, che a Racconigi, dal 1942, vengono trasferiti diversi internati dai manicomi della regione (in massima parte da quelli del torinese), in seguito ai bombardamenti alleati. “Tra loro vi è Emiliana F. Gli effetti delle bombe, su una psiche già compromessa, emergono chiaramente tre giorni dopo il suo arrivo: ‘Notevolmente rallentata, confusa e disorientata, ha allucinazioni uditive, sente aeroplani che girano, sente gente che ride a squarciagola, senza si possa intendere il significato’ ” (p. 145). Non possiamo concludere senza accennare ai primi mesi del dopoguerra, con i tentativi (anche del mondo psichiatrico nello specifico) di un ritorno alla “normalità”. Almeno fino a tutto il 1947 le condizioni di vita al “Neuro” permangono molto difficili (freddo, fame, poca igiene). Con la Liberazione e l’inizio della Ricostruzione fanno la loro comparsa anche nuove figure di mediatori sociali, coloro che, dall’esterno, si interessano degli internati: ad esempio, appaiono l’Assistenza sociale di fabbrica della FIAT ed il Patronato ACLI). D’altra parte, è indubbio che “(…) la Liberazione non segna la fine delle ‘follie’ di guerra. Anzi, in alcuni casi è proprio la presunta quiete del dopo conflitto a far emergere quei fantasmi che l’emergenza, la lotta quotidiana per la sopravvivenza, le reticenze familiari ad abbandonare i congiunti, hanno in qualche modo sopito” (p. 162).

Francesco Paolella

Referenze

Collana editoriale promossa dal Centro Studi Interdipartimentale in Psichiatria dei Dsm della Provincia di Cuneo. I volumi sono editi da Araba Fenice edizioni http://www.arabafenicelibri.it/ Per contatti: assistenza.medicina.societa@gmail.com